La siringaie di Garbatella
Un’altra cosa che era necessaria fare nella solidarietà all’interno dei cortili era quella di trovare chi sapesse fare le punture perché quando capitava che il medico prescriveva di fare delle punture diventava una tragedia, non c’era una grande disponibilità di infermiere, c’era un’infermiera della condotta medica che non si muoveva a domicilio, operava soltanto lì, presso la condotta. Per muoversi a domicilio c’era bisogno di qualcuno abile. Mia nonna era una di queste persone abili che sapeva… aveva tutto il suo armamentario: il pentolino dove far bollire le siringhe, gli aghi ecc. e soprattutto conosceva tutti i tempi necessari per la sterilizzazione precisa di aghi e siringhe perché poteva succedere che se veniva sterilizzato poco il tutto per qualcuno c’è stato il rischio del tetano se non di altre cose gravi, quindi all’epoca qualcuno è morto di tetano dovuto a punture fatte male, disinfettato male la parte prima della puntura…
Poi nel dopoguerra quando è arrivata la penicillina, lì c’era un’altra complicazione perché la penicillina era bicomponente, da fare rapidamente, c’era il problema di temperature ecc. per evitare che calcificasse rapidamente e diventasse inutilizzabile il farmaco. Alla penicillina ad esempio bisogna ricorrere nel caso di difterite, una malattia diffusa all’epoca perché non c’erano le vaccinazioni, non c’erano i no vax ma non c’era nemmeno la vaccinazione, i bambini però avevano bisogno di fare questa puntura ogni tre ore nel periodo di accesso violento della malattia e quindi bisognava farlo anche di notte e in quei casi mia nonna stava fuori casa la notte, su una sedia presso il letto del bambino per poter essere pronta a fare la puntura al momento giusto, al momento opportuno. Non si preoccupava del fatto che potesse portare l’infezione in casa dove c’erano i nipoti della stessa età di quelli che andava a curare, perché aveva la certezza che lei avrebbe potuto fare le punture anche ai nipoti in caso di necessità.
Tutto questo appunto faceva parte di quel volontariato, né chi faceva l’assistente al parto delle partorienti, né chi faceva le punture, s’è mai preso niente in cambio di questo servizio che rendeva volontariamente.
[Intervista a Mario Savelli presso un caffè in piazza S. Eurosia il 15 dicembre 2022]
La borsa nera e la solidarietà del Partito d’Azione e del Partito Comunista
Mario: Dopo la guerra c’era la borsa nera, e come facevate, come facevate con la borsa nera?
Anna Maria: Andavamo in giro a trovare dove la vendevano, c’erano i banchetti sulle strade si mettevano lì con un tavolinetto a vendere la roba alla borsa nera.
Mario: E allora il Partito d’Azione che cosa aveva fatto?
Anna Maria: Il Partito d’Azione aveva messo una cooperativa, ci andavamo solo noi del Partito e ci vendevano la roba a un prezzo un po’ di meno rispetto a quelli per strada.
Mario: Quindi era contro la borsa nera.
Anna Maria: Sì, però non sempre si trovava questa roba perché c’era la fila da fare, capito? Qualche volta la fila l’ho fatta per fare la spesa. Infatti manco la pagavo perché mi davano un foglietto, me lo segnava lì dicevo quanto pagavo e poi pagavo a fine settimana quando riscuoteva tua padre che mica sempre lavorava… Non avevamo i soldi e andavamo lì, facevamo la spesa e ci davano quello che c’era.
Mario: E questo Partito d’Azione è andato avanti a lungo?
Anna Maria: Beh, insomma, in quel periodo sì, poi dopo c’era la tessera per fare la spesa, la tessera annonaria: ci davano tanto al mese, un chilogrammo di pasta al mese a persona, tanto zucchero ora non mi ricordo di preciso quanto, e una volta che avevi preso quello non te ne ridavano altro al mese, dovevi aspettare un altro mese per ricomprarlo, hai capito? Che noi eravamo tanti, andavamo con la tessera, e ci chiedevano il bollino della tessera.
Mario: Quindi il Partito d’Azione è stato utile allora per queste cose.
Anna Maria: Sì, c’era pure qualche altro partito che faceva queste cose, c’era pure alla Villetta, non so chi c’era
Mario: C’era il Partito Comunista, lì.
Anna Maria: Sì, il Partito Comunista, pure lì si poteva andare a prendere qualche cosa per risparmiare, e alle femmine che avevano bisogno di qualche cosa gliela davano pure gratis, se avevano le creature gli davano i biscotti, il latte…
[Il figlio Mario raccoglie la testimonianza della madre Anna Maria Dionisi, 20 dicembre 2022]
Le suore cappellone di Garbatella
Gli anziani di Garbatella ricorderanno certamente “le cappellone”, quelle suore dal grande copricapo bianco con le “ali” svolazzanti. In realtà si chiamano “Figlie della carità” e, a partire dal 1928, prestarono assistenza nel quartiere, ad iniziare dal lotto 41, chiamato “Albergo Bianco” per via del colore delle pareti.
La loro presenza venne richiesta con grande fervore dal presidente dell’Istituto Case Popolari dell’epoca per istituire un servizio di assistenza nell’Albergo Bianco e in altre tre strutture progettate per ospitare i pellegrini durante l’Anno Santo del 1925 ma, giudicati inadatti allo scopo, i complessi residenziali furono utilizzati per ospitare senzatetto e famiglie povere espulse dal centro storico a causa degli sventramenti fascisti.
Dopo molte e insistenti preghiere, la casa madre di Parigi concesse quattro suore: dovevano gestire la dispensa, la cucina e il refettorio, contabilità compresa. Gestivano anche una cappella, in attesa della parrocchia, ultimata nel ’41. Le attività di assistenza si accrebbero con l’istituzione della maternità e vennero mostrate come un “fiore all’occhiello” del Regime a molti visitatori illustri (tra i quali Gandhi e la regina Elena) ai quali però venne scrupolosamente preclusa la vista degli alloggi dei residenti: ogni famiglia aveva diritto a una stanza mentre cucine e bagni erano in comune. Una stanza in più venne eccezionalmente concessa a Enrico Mancini (martire delle Fosse Ardeatine nel 44) che aveva sei figli. La rigida disciplina era garantita da un posto fisso di polizia all’interno degli alberghi.
Il lotto fu duramente colpito dai bombardamenti del marzo 1944 e anche le suore si ritrovarono delle senzatetto. I danni maggiori li ebbe proprio la Maternità posta nell’Albergo Bianco: circa 50 morti, di cui molti bambini, e moltissimi feriti tra cui la suora addetta alle cucine, Giuseppina Cocchetti. Le altre “cappellone” furono alloggiate nella “Casa dei Bimbi”, l’asilo situato in piazza Nicola Longobardi e da lì continuarono le loro attività di assistenza finché il Comune , ben dieci anni dopo il bombardamento, non assegnò loro il lotto 60, in via Ignazio Persico, proprio di fronte all’Albergo Bianco! Tuttora vi abitano quattro suore che gestiscono una piccolissima materna e si occupano di alcune famiglie bisognose.
Nel frattempo - dal 20 settembre del 1964 - le “cappellone” hanno perso il cappello: adesso un modesto fazzoletto copre loro la testa e vestono un abito azzurro “carta da zucchero” con la gonna al polpaccio. Sicuramente un abbigliamento molto più pratico per fare del bene!
[Testo a cura di Elena Tredici]
Rachel Corrie, vittima in Palestina
Rachel Corrie, classe 1979, è stata un'attivista statunitense per i diritti umani, membro dell’International Solidarity Movement (ISM). Nel gennaio 2003, si recò a Rafah, nella striscia di Gaza, durante l'Intifada di Al Aqsa. Il 16 marzo, mentre manifestava per impedire la distruzione di alcune case palestinesi, venne schiacciata da un escavatore corazzato dell'esercito israeliano. Aveva solo ventiquattro anni. La versione ufficiale israeliana ha scagionato completamente l'operatore da qualunque responsabilità, addossando la colpa dell'accaduto all'irresponsabiltà dei dimostranti.
Nel 2020 il Centro sociale La Strada ha apposto una targa in onore della giovane vittima in largo delle Sette Chiese.
Elisabetta Di Renzo, militante comunista e dell'UDI
Il 13 ottobre 2014, a largo delle Sette Chiese, si svolse la cerimonia di intitolazione del Consultorio familiare della Garbatella a Elisabetta Di Renzo, attivista dell’U.D.I. (Unione Donne Italiane) che si è sempre battuta per i diritti delle donne, delle madri e dei loro figli. Classe 1928, pugliese, si trasferì a Roma quando aveva quattro anni. Dopo un breve soggiorno in Prati, si trasferì alla Garbatella con i genitori nel lotto 28. Sposò Mario Pistilli, un operaio edile, fervente comunista, con cui abitò nell’area degli Alberghi al lotto 60. Lottò per i decreti delegati, contro l’aumento degli affitti, per l’erogazione dell’acqua nel quartiere. Negli anni Settanta partecipò attivamente alle lotte per il divorzio e per l’aborto e si batté per l’apertura del consultorio familiare di via Montuori. Elisabetta è deceduta nel 2012, quasi novantenne.
Storia e storie di Fata Garbatella
Mirella Giovanna Arcidiacono, alias Fatagarbatella, è un'istituzione nel quartiere. Fondatrice dell'’Associazione culturale Il Tempo Ritrovato, è attiva nel sociale con iniziative di solidarietà, con particolare riguardo ai diritti dell'infanzia e dell'adolescenza. La abbiamo incontrata e ci ha raccontato la sua storia.
Le Sgarbatelle
Anni Cinquanta del Novecento, nel lotto 27 della Garbatella, un gruppo di donne diede vita a una società di mutuo soccorso, le Sgarbatelle. Con il versamento di una piccola quota si entrava a far parte della rete.
Le Sgarbatelle, nel mese di maggio, in occasione della festa del Divino Amore, organizzavano una gita fuori porta che si concludeva con un pranzo in trattoria.
Derna De Angelis, tintora e successivamente proprietaria della trattoria “Li scalini de Marisa” in via Roberto De Nobili, fu l’ultima delle Sgarbatelle, deceduta nel 2008 all’età di 94 anni. Da allora il locale è stato gestito dalla figlia Marisa e poi dalla nipote Marina, anch’esse non più tra noi. Oggi la trattoria è portata avanti dai figli di Marina, Jacopo e Claudio, ai quali con gentilezza si può chiedere di poter guardare le fotografie delle Sgarbatelle appese in sala.
Ascoltiamo la testimonianza di Liliana, garbatellina di nascita, trasmigrata a Tor Marancia, la quale racconta come da piccolina accompagnava la mamma, una delle Sgarbatelle, in gita fuori porta a bordo di un torpedone.