Chiara T., maglierista e addetta alle pulizie
Non so’ nata a Garbatella ma so’ nata a Tor Marancia. Nel ’46. Poi sono venuta a Garbatella quando ci hanno assegnato il Lotto, il Lotto numero 38.
Ho fatto le pulizie per 47 anni, poi so’ andata in pensione. Se usciva presto la matina, d’inverno, era ancora buio. Annavo con l’autobus o in macchina perché per un periodo ho anche guidato. Poi ho smesso.
Era bello, da regazzina, andare tutti insieme a fare la fraschetta al Divino Amore [1]. Il fratello di mio padre andava a Testaccio a prendere il cavallo con il caretto e ce portava. Zio aveva il carettino perché lavorava al mercato di Testaccio. Mio padre no: faceva er pittore edile. Mamma a casa: eravamo sei figli.
Il giro delle Sette Chiese l’ho fatto poche volte perché so’ andata subito a lavorare. Facevo la maglierista. Vicino al mercato di Garbatella c’era una signora che faceva la maglia, con la macchina che fa su e giù, lavorava in casa, lei, il marito e i figli. E mi ha preso a me. Facevamo le maglie per i privati, i costumi da ballo per una maestra di scuola di danza di Marino e i completi di Giulietta e Romeo [2]. Venivano anche i grossisti ebrei a ordinare e a prendere il lavoro. Lavoravamo molto, io facevo quattro maglie al giorno. L’ho fatto per ott’anni, ero ancora piccola quando ho iniziato: avevo undici anni, me lo ricordo perché in quinta andavo da sola a scuola. Era la Cesare Battisti, in piazza Damiano Sauli. Aveva un giardino grandissimo, ci facevamo l’alzabandiera, ci mettevano tutti in fila, si cantava… una cosa abbastanza patriottica.
Mi ricordo che un anno hanno fatto a Garbatella una sfilata di carrozzelle con la gente mascherata sopra, come carri di carnevale, ma con le carrozzelle! L’hanno fatta solo quell’anno e poi non l’hanno fatta più. Doveva essere il 1973 o il ‘74.
Dopo la maglieria sono andata in una ditta di pulizie, quella della maglieria si è messa pure a piagne quando me ne sono andata, il lavoro c’era ma alle pulizie mi hanno segnata mentre chi lavorava a casa non veniva segnato, non lo faceva nessuno. Invece con le pulizie mi sono fatta la pensione mia. Mi piaceva tanto tanto tanto pulire i grandi uffici, la presidenza dei ministri, poi all’EUR… quando stavo alla Pubblica Istruzione ho visto tante persone famose. Prima negli uffici gli impiegati lavoravano tanto, poi di meno. Ho pulito con le macchine per lavare chilometri di corridoi e centinaia di stanze. Al Ministero della Pubblica Istruzione i pavimenti erano belli. Bellissimi.
[1] Fellini rievoca “La fraschetta al divino Amore” nel film Le notti di Cabiria.
[2] Il nome indica due pezzi inseparabili (come Giulietta e Romeo!) che ebbero un grande successo negli anni Cinquanta e Sessanta. Si tratta di un cardigan con un girocollo abbinato, quel che oggi viene chiamato twin set.
[Intervistata presso il Centro Anziani di Via Pullino, il 17 dicembre 2022]
Giusi, dalla Puglia alla segreteria di Andreotti
Io sono Giusi e qui a Garbatella mi trovo bene. Il legame con Garbatella è tramite i miei figli: Daniela e Andrea. A Garbatella Andrea ha trovato la moglie, Jessica, una persona squisita, e mi ha detto: “Mamma, io mi trasferisco a casa della mia fidanzata”. Io gli ho detto: “Fai attenzione, non fate subito figli”. Dopo due anni è nata Giada. Io sono di Ostiense, abito in via del Gazometro, prima abitavo a Monteverde nuovo, non so se conoscete la zona.
Mia nonna materna era ricca, nella provincia di Lecce aveva masserie, trulli. Aveva un appartamento con sedici camere a Salice Salentino e io ci giocavo con le bambine, le mie compagne di scuola. Poi aveva un’altra casa sopra e un’altra la affittava. Aveva quattro trulli con un terreno davanti dove andavamo: mangiavamo la ‘nduja, avevamo il forno… Nonna aveva tutto un suo sistema: metteva dentro le scatole di scarpe dei biglietti con i nomi delle case. Noi li tiravamo fuori, erano dei rotoletti, e quelli erano nostri. Ogni rotoletto era una casa ed era di chi l’aveva preso. Perché non era giusto che uno prendeva quello che valeva di più e un altro quello che valeva meno. Così il notaio le aveva detto: “Donna Vitti, facciamo una cosa: mettiamo tutto in una scatola di scarpe e quello che prendono, prendono!” Donna Vitti era mia nonna perché in Puglia usiamo dire “Donna”.
E così mi sono capitati l’oliveto, le masserie, la zona dei trulli… non era grande, erano due trulli soli. Di conseguenza avevo dei terreni da vendere, miei, erano miei. Ho detto a papà: voglio vendere la quota mia - perché poi erano i vecchi genitori che decidevano. E così ho venduto, e ho comprato cinque appartamenti. Perché papà diceva: “Il mattone! Il mattone! Ricordatevi, è il mattone che porta il denaro!” E allora, daglie! Tutti noi figli (siamo tre: Rosalba, io e Antonio), abbiamo comprato appartamenti. I miei fratelli vivono in Puglia e hanno comprato in Puglia, io ho comprato a Porto Cesareo, vicino a Gallipoli, al mare. Ora che sono vecchietta ci pensano i miei figli a gestire le cose. Ma a me piaceva Roma e allora mi sono trasferita e sono venuta qua. A Roma ho comprato solo un appartamento e poi ho comprato a Subiaco, non so se conoscete Subiaco… E quindi con il mattone ho accontentato papà!
Lavoravo alla Corte dei Conti, a piazza Mazzini, non so se conoscete… e andavo a mangiare al Senato perché lì c’era la mensa. E quindi ho sempre lavorato. E poi mi vanto che sono stata scelta da Andreotti fra tutte le segretarie. Abbiamo fatto un colloquio e poi, fra tre, ha scelto me. E mi ha dato una soddisfazione unica! Veramente! Mi sono trovata bene con lui, era molto alla mano, era una persona squisita! Era un tipo che non parlava mai, però quando ti guardava ti metteva soggezione, a me e ad altre ragazze. Ero una pischella, come si dice nel gergo romano. Era lento nel parlare, aveva quel parlare “morbido”, sommesso: “La prego di venire un po’ prima…” Capito? E poi era un tipo che riusciva a capire lo stato d’animo, ma non solo di Giusi. Eravamo otto persone che lavoravano per lui, compresi gli autisti che facevano i turni. Diceva: “Non vi preoccupate, non vi sgrido, parlatemi, ditemi…” Era molto comprensivo, come si usa dire: “elastico”. Era il periodo in cui lui era Presidente del Consiglio… molto tempo fa. Ma non eravamo stipendiati dalla Presidenza del Consiglio. Perché la Presidenza del Consiglio non poteva licenziarci, invece se era Andreotti a pagarci (attraverso il suo segretario, Mario) se io non gli garbavo, se vedevano che non lavoravo, lui mi poteva licenziare.
Ho lavorato per Andreotti cinque anni. Venivano uomini politici importanti e persone di un certo livello. Io mi occupavo dell’archivio. Tutti quelli che chiedevano la pensione di invalidità ci dovevano portare la cartella medica e poi un nostro dottore faceva la visita. Partivano sempre da chi era stato eletto, cioè se avevi votato Andreotti, Andreotti diceva: “È uno mio!”. Il riconoscimento si poteva fare attraverso vari espedienti: attraverso controlli “incrociati” sulla carta di identità e le firme apposte nei registri elettorali, il modo in cui venivano scritte le preferenze sulla scheda, ecc. Adesso è cambiato tutto. Ma prima non era così “rigido”. Infatti Io sono andata proprio da Andreotti per dire: ” …Se ha bisogno, io sono a disposizione…”Sono passata da Mario, il segretario, e gli ho dato nome cognome e il numero telefonico di papà. Hanno chiamato e hanno chiesto di Torsello e ha risposto mia madre che ha chiesto: “Chi la desidera?”. “Sono la segretaria di Andreotti, è venuta sua figlia…”. “Ah, è vero!”, ha detto mamma che lì per lì non aveva capito il motivo della chiamata. E poi l’ufficio di Andreotti mandò una raccomandata con ricevuta di ritorno, perché mandavano nome e cognome per dire “Io ho chiamato”.
E così ho lavorato per Andreotti, una persona squisita, non era mafioso e tutto quello che hanno detto di lui non è vero. Addirittura, quando venne in Corte dei Conti, che era vicina al Senato, ci disse: “Vi ho dato la possibilità di pranzare alla mensa del Senato”. C’era una sala per i Senatori e un’altra sala per tutti gli altri. Alle tre e mezzo dovevamo andare a timbrare, quindi mangiavamo anche un po’ di fretta. E poi c’era una persona che era squisita; ci portava le pastarelle del paese… era una famiglia!
In Corte dei Conti Andreotti veniva, si faceva vedere, timbrava, poi andava via con l’autista. Noi dovevamo dare la pensione di invalidità a tutti, anche gli italiani che abitavano in Germania. Facevamo una lista con tutte le cartelle cliniche. Poi Andreotti aveva la facoltà di richiedere le cartelle cliniche perché era lui che diceva al Senato: “Questa sì, questa no” … Ma anche adesso è così… Andreotti era Andreotti a quell’epoca. Quando inauguravano i negozi lo chiamavano a tagliare il nastro!
Mi trovo benissimo al centro sociale, sono tutti molto familiari, ballo, mi piace molto.
[Intervistata presso il Centro Anziani di Via Pullino il 17 dicembre 2022]
Conversazione con la sarta Maria Teresa
Io sono nata nel 1941, [eravamo gemelle] e siamo state le prime ad avere una carrozzina doppia, perché mio padre ha comprato una carrozzina doppia. Siamo nate all’albergo Rossi, ecco là siamo nate. Mamma era di Viterbo, è campata 101 anni; papà un po’ di meno, però papà era di Monreale, poi gli è morta la mamma con la spagnola, due anni aveva, ci ha sempre raccontato questo, ed erano tanti i figli e loro avevano mezza Conca d’Oro là dove c’erano limoni e arance c’erano quattro raccolti l’anno. Poi quando è venuto a Roma ha conosciuto mia madre: la prima volta nell’appartamento si sono incontrati, si sono sposati e sono venuti ad abitare in via Alessandro Ciani, al 31, io sono nata in quella via, e in quella via sono rimasta, ho due figli e praticamente non mi posso lamentare, né del marito, abbiamo fatto 54 anni di matrimonio, lui è consigliere qua, io li aiuto, non voglio essere niente, ma gli do una mano, e poi niente, la vita è normale, con alti e bassi, però ho sempre assistito mia sorella che è stata operata, e io facevo nottata, mamma, ho fatto nottata…la mamma, era lui figlio unico, quando la domenica andava via la badante ci andavo io, giocavo a carte con lei, a scala quaranta, stavo fino alle 11 di sera con lei, le andavo a prendere la pensione, l’accompagnavo a fare i capelli, era tanto brava… mamma mia pure è stata tanto brava, e abbiamo fatto ai 100 anni una torta con i 100 anni poi a 101 è morta, però…
Io ho lavorato per le sorelle Fontana, da ragazza, poi dopo sono andata ai Castelli e praticamente ho lasciato perdere, mi sono sposata, poi ho avuto i figli…
D.: Cuciva?
R.: Sì, sarta.
D.: Ah, lei faceva la sarta? Dalle sorelle Fontana? E loro stavano al centro?
R.: Prima, e poi dopo sono andate alla Magliana, però era un lavoro a catena, erano tanto brave… Erano bravissime… quando è morto il padre hanno fatto, c’era una chiesetta lì, la messa lì, per tutte le operaie. Poi quando è morto il papa XXIII° ci fecero chiudere per andare a vedere il papa che era morto, insomma, erano molto cordiali, una famiglia. Loro erano tre sorelle, Micol, Giovanna e Zoe
D.: Facevano abiti di classe?
R.: Sì sì, alta moda. Pure per Ava Gardner abbiamo lavorato, abbiamo fatto i vestiti per Ava Gardner.
D.: Ed eravate tante? Dove lavoravate?
R.: Tantissime. C’era un salone un po’ più questo, grandissimo… Un salone tipo capannone, però fatto bene, no no, fatto benissimo.
D.: Come ha imparato a fare la sarta?
R.: Mi ha insegnato una signora da cui andavo a casa, però non ci pagava niente, gli stiravo io… prima era così, qualcosa le andavo a comprare, se c’era bisogno di qualcosa, e ho imparato là, mi ero segnata tutto, però sono stata abbastanza… Sono rimasta con loro fin quando hanno chiuso, perché poi sono andate a Cecchina, e poi ho sposato, prima che chiudessero ho sposato e non sono andata più perché a Cecchina chi ci andava? Sì, sette otto anni ci sono stata. Ma sono stata bene là, molto bene.
D.: Ed eravate tante a lavorare?
R.: Eravamo tante, sì. Ho fatto anche il magazzino, ho fatto cose che rimanevano, mi faceva fare pure quello, mettevamo da parte, segnavamo tutto, parecchie cose…
D.: E quindi che anni erano quando lavorava lì?
R.: Eravamo fidanzati, avevo 18 anni … nel Sessanta.
D.: Com’erano i vestiti che cucivate in quel periodo, si ricorda qualcosa di particolare?
R.: I vestiti? Eh beh, Ava Gardner, pure per il cinema…c’erano tanti bei vestiti d’alta moda, perché loro poi a piazza di Spagna non avevano chiuso, c’era solo il negozio, e c’era tanta roba bellissima, proprio bella bella e lì si facevano vestiti lunghi, vestitini…poi c’era quella che ricamava, ma era un lavoro a catena, mi capitava pure qualcosa che dovevo finire, quando c’era una cosa di corsa, però…
D.: Le è rimasto niente di questi vestiti?
R.: Io parecchia roba mi sono fatta. Un bel vestito che avevo di cady se l’è preso mia sorella, cady, una stoffa pregiata, e c’era dietro il cappuccio… ci sono andata al matrimonio; ah poi ce ne avevo un altro di raso nero, ma ne avevo parecchi che avevo fatto il modello, pure un cappotto preso in liquidazione lì.
D.: E vi siete sposati qui a Garbatella?
R.: A San Paolo, sì. Alla basilicona. Allora, alla basilica sono stata battezzata, cresimata, comunione e sposata e ci ho battezzato i figli, perché prima, dove stavo ad abitare, appartenevamo a San Paolo poi all’inizio, in via di …. di fronte, appartenevamo a San Paolo, poi mano a mano siamo andati a finire a San Francesco Saverio come parrocchia, perché lì giù c’erano più posti, poi hanno levato tutto, le comunioni, le cresime, non facevano più niente; difatti, quando si è sposato mio figlio sono dovuta andare a prendere il certificato di battesimo a via Muraldo perché avevano trasferito tutto da altre parti. Parecchie cose. Poi ho avuto una zia che non aveva figli, e allora andavo a Trionfale, gli andavo a fare la spesa, ci andavo insieme, andavamo la mattina e tornavamo la sera. Ha detto: “Tu sei meglio di una figlia!.
D.: Ha conosciuto qualcuno, a Garbatella, qualche donna particolare?
R.: Io ho amiche, tante… Ci sono altre due gemelle, che sono nate dopo di noi, gli abbiamo regalato la carrozzina, le incontro sempre ma non so come si chiamano.
D.: E sua sorella Giovanna?
R.: C’è, c’è, sta a San Saba, però è vedova. Mi telefona tutti i giorni, poi vado a casa sua, ci invita spesso, lei viene da me, e adesso sono tre settimane, che adesso sta bene, ha avuto il Covid, però è guarita, ha fatto il certificato e tutto, è negativa, e allora dice “Ci vediamo? Quando vieni? Stamattina? Quando venite?” Le ho detto “Aspetta un attimo, adesso questi giorni abbiamo da fare qui al centro…”.
D.: Ma qui quando c’è stato il Covid ha chiuso tutto? A parte quei mesi di chiusura totale.
R.: Allora, quando qui abbiamo chiuso, poi abbiamo riaperto e disinfettato. Disinfettavamo io, lui, a chi toccava, tutti i tavoli, abbiamo i dispenser per le mani, e poi prendevamo la febbre, vedevamo chi aveva fatto il vaccino, la febbre chi ce l’aveva, facevamo tutti i giorni questo lavoro.
D.: C’è stato qualcuno che non si voleva vaccinare?
R.: Non sono venuti, sono mancati parecchi e qualcuno che veniva al ballo, musicista, non è venuto più perché ha detto: “Non mi voglio vaccinare!” e non li si può obbligare. Però qui non ce l’abbiamo mai voluto.
D.: Qui avete pure un giardino.
R.: Fuori, l’estate si sta una meraviglia, vengono per venirci a vedere perché ci sono qui di fuori alberi, tavolini, è una favola. Adesso non vedete qua, perché è inverno, ma non potete sapere l’effetto che c’è l’estate.
[Intervistata presso il Centro anziani di Via Pullino, il 15 dicembre 2022]