Silvana, Nonna Garbatella
È tanti anni che abito a Garbatella, perché prima ho abitato a via Oderisi da Gubbio, dopo da là ho abitato a piazza Eugenio Biffi e poi so’ venuta qui a via Lorenzo da Pietrasanta…. Io con mio marito abbiamo fatto quasi sessant’anni de matrimonio, perché mio marito è morto che a gennaio fanno due anni, e lui aveva 93 anni quando è morto. Però io gli vado appresso perché io ce n’ho 90, tra poco 91 anni, sono del 31!
Io lavoravo, c’avevo il banco a Odescalchi, il banco era di abbigliamento. E siamo stati tanti anni lì, tra io e mio marito. E abbiamo fatto una vita lavorando lì. Poi la vita quando lavori è sempre quella, perché se non lavoravi non mangiavi, era normale. Avevamo un po’ d’amici che tante volte ci andavamo insieme e tante volte no perché dovevamo lavora’. Comunque siamo stati bene. Io ho sposato un ragazzo ebreo… e abbiamo fatto una vita bellissima: c’è scappato de balla’, c’è scappato da anda’ al cinema, da mascherasse, da fare tutte queste cose. Ma poi quando è morto lui è finito tutto. Lui era proprio nato alla Garbatella… qui c’era tanti anni fa una levatrice.
Adesso che sto sola ho dovuto prendere una donna. Prendiamo due lire di pensione e mille e tante le dobbiamo dare alla ragazza, è rimasto tutto un sacrificio.
Il mercato di Odescalchi sta dove stanno i ciechi, dall’altra parte della Colombo. Siamo stati là parecchi anni, poi l’ho dato a mia figlia. Ma non si faceva più niente. L’ha fatto un pochino ma poi l’ha dovuto togliere perché quello che incassava non le bastava per paga’ le spese. Lavoravamo solo la mattina, mezza giornata. Io e mio marito stavamo insieme. La mattina presto ci andava mio marito, verso le 7, dopo, verso le 9 ci andavo io. E poi ritornavamo insieme a casa. Le cose da vendere ce andavamo una volta la settimana a compralle, ma poi c’era da spicciare casa, fare la spesa, portare il cane, ... Insomma, il lavoro c’è stato.
C’ho due figli, uno è odontoiatra e uno ringraziando Dio viene da me, oltre che c’ho la badante che la mattina mi porta un po’ a spasso, famo la spesetta e poi mi riporta a casa e lei se ne riva’ via a casa sua.
Io al Centro Anziani vengo tutti i giorni, m’è rimasto solo questo nella vita mia. Vengo qui. C’è la donna che mi viene a accompagnare qui perché io non posso uscire più da sola, perché non se fideno, c’è il pericolo che cado e non se fidano. Quella signora lì è la badante. Prima ce n’avevo un’altra poi mi ha rubato dentro casa…
Io e mio marito siamo stati a ballare parecchie volte, uscivamo da casa alle otto e rientrevamo all’una di notte, la vita l’abbiamo fatta…Ci siamo mascherati perbene, avevamo preso il completo da uomo e donna… abbiamo passato belle giornate…
Ci siamo sposati civilmente in Campidoglio perché mio marito era ebreo ma non ha avuto problemi, per fortuna, nessuno. C’ho ancora una cognata che c’ha 95 anni. Sta rinchiusa perché menava a tutti i badanti. Gli se ne andavano tutte via perché se tu me meni io me ne vado. Anzi gli ha detto bene perché la potevano pure denunciare che gli ha fatto gli occhi neri e gli ha rotto pure gli occhiali!
Mio marito non andava in Sinagoga, neanche i figli, però le feste tradizionali le faceva. Quando erano le sue feste io stavo con lui, quando erano le mie feste lui stava con me. Il sabato si lavorava perché mio marito era sì di religione ebraica ma tante cose non le faceva, magari non le sapeva…
Mio marito non voleva che andassi al Centro Anziani. Non voleva. Poi mia figlia mi fa: “Mamma, non dà retta a papà! Tu vai, vai, vai!” Allora io preparavo il pranzo o la cena e scappavo via. A volte gli chiedevo: “Che mi fai fare qualche ballo?” E lui: “No! Hai capito? Se te vai a fa’ una partita a carte sì, ma il ballo no!”
Io al destino ci credo. Avevo vent’anni quando l’ho conosciuto. È stato il primo e l’ultimo perché non sono stata con nessun altro. Una domenica venne un’amica e mi disse: “Vogliamo andare a ballare da qualche parte?” Ma i miei non volevano perché, se veniva una festa in mezzo alla settimana, mi dicevano: “O esci quel giorno o esci la domenica!” Ma lei insisteva: “Digli che andiamo al cinema!”. E mena e mena e mena alla fine ci sono andata. Era una domenica, ed è stata la prima e l’ultima volta perché proprio in quell’occasione, in quella sala da ballo, il destino mi ha fatto incontrare il mio uomo! Un ballo, il secondo, il terzo… si parlava del più e del meno: “Dove abiti?, Abito qui, abito là…” Ha cominciato a veni’ sotto casa. I primi tempi i genitori non volevano: né i miei, né i suoi. Abbiamo fatto l’amore per cinque anni! Alla fine si sono decisi e ci hanno fatto sposare. Abbiamo fatto la festa di qua e di là. Se c’era mio marito le riempiva un libro con tutte le usanze ebraiche. Che poi mio marito è stato coperto [n.d.r. nascosto] dalle monache, credo che fossero quelle francesi. Tutti chi in un posto chi in un altro. Mio marito stava con un amico da queste suore e l’amico voleva andare a comprare il pane ma mio marito non voleva, gli diceva che c’era pericolo. L’amico è voluto uscire e l’hanno acchiappato subito. Mio marito invece, pensa: è andato a lavorare in mezzo ai tedeschi, ad Ostia! Stava sempre lì in mezzo e stava tranquillo, si è salvato così. Stava sempre lì a fare buche e nessuno gli ha mai chiesto niente. Il suo cognome era Anav: dai nomi se ne accorgono.
Io qui ho fatto anche i 60 anni de Nonna Garbatella. Mi avevano avvertito una settimana, dieci giorni prima e mi avevano detto: “Guarda Silva’, tu devi fa…”. E io: no no no, non voglio far niente, no no e invece mi hanno segnato. Abbiamo fatto una bella festicciola, io e mio marito ballavamo, ci hanno fatto le fotografie, ce n’ho una a casa dove balliamo. Ci hanno fatto un bel cesto grande e in più un uovo di Pasqua perché si vede che era vicina Pasqua. Abbiamo fatto il rinfresco… è stata proprio una bella festa! Ogni anno si festeggia Nonna Garbatella al Centro Anziani, sempre con persone diverse. La mia è stata una festa bellissima, come uno sposalizio, una cosa bellissima!
Mio marito qui c’è stato tanto tempo, aveva tanti amici della Garbatella. Fino a due anni fa ce n’erano ancora tanti di amici della Garbatella. Uno per volta, uno per volta se ne sono andati tutti. Ne è rimasto uno. Solo uno ne è rimasto.
Tutto qua.
[Intervistata al Centro Anziani di Via Pullino il 17 dicembre 2022]
Dalla camicia nera alla camicia rossa
Mario: Quando c’era la persecuzione degli ebrei qui alla Garbatella come funzionava? Perché alla Garbatella ce n’erano tanti di ebrei…
Anna Maria: Sì ce n’erano tanti di ebrei specialmente dove abitava mia sorella
Mario: al Lotto 27.
Anna Maria: tanti erano rifugiati, si mettevano dentro casa per far credere che erano in famiglia, si nascondevano insomma. E qui pure, qualcuno li ha nascosti, a qualcuno cercavamo di darli qualche cosa da mangiare perché quelli non potevano andare in giro
Mario: Ma anche i militari fuggiaschi dopo l’8 settembre, i militari… quelli che si levavano la divisa.
Anna Maria: sì, si levavano la divisa, da fascisti erano diventati tutti democristiani, si sono levati tutti la camicia nera, mo’ se l’erano fatta rossa. Tanti l’hanno fatto ‘sto lavoro, uno era il macellaio, la sora Gina quella che veniva…
[Testimonianza raccolta dal figlio di Anna Maria Dionisi nel mese di dicembre 2022]
Rcconti di vita vissuta al Panificio Marè (ma non solo)
Elisa: Ho fatto la cassiera al Forno Marè aiutavo pure se serviva, non è che stavo sempre seduta, se c’era da fare mi alzavo, pressappoco quello che era lo sapevo fare. Sono stata trent’anni al negozio.
Maria Teresa: Ah, Forno Marè, ma esiste ancora questo forno?
Elisa: Sì sì, sta pure sul giornaletto
Maria Teresa: Però non è più vostro?
Elisa: E come no è di mio figlio, ci sta mio figlio, noi non lavoriamo più, siamo vecchi e adesso c’è mio figlio, ci pensa lui. La panetteria è intitolata a mio figlio Massimo Marè, si chiama Panificio Marè, via Anna Maria Taigi, via Rosa Raimondi Garibaldi, c’è la Regione, c’è quella strada che da giù va su, c’è una traversetta, cioè una bella traversa, e poi c’è una gazebo di 12 metri, lo ha fatto mio figlio, i clienti possono mangiare lì dentro quando piove e d’estate, d’estate lo apre tutto, d’inverno invece ha quei vetri, no vetro proprio, plastificati però sono vetri che ti coprono e non senti freddo.
Maria Teresa: L’ha rinnovato, insomma.
Elisa: Eh, l’ha fatto bene, è un bel gazebo, sembra un piccolo ristorante, è bello ora poi lo ha tutto addobbato, ci ha messo tutte cose che luccicano…
Maria Teresa: Parlaci un po’ del forno, questa è una bella storia, c’è stata trent’anni. A che ora apriva il forno?
Elisa: Beh, dunque Emilio andava alle 11 la sera perché lui ancora faceva il panificatore, ma io andavo la mattina alle 6,30/7,00 e chiudevamo alle 19,30/20,00.
Maria Teresa: E si ricorda di qualche episodio che è successo al forno?
Elisa: Eh, quante ne sono successe. Mi ricordo, ad esempio che ci stava una figlia di una buona donna, non me ne ero mai accorta, mi ha aiutato mia cugina poi, perché le ho detto: “Cugi’, il sabato vieni perché c’è troppa gente e mi rubano le cose al banco dei surgelati, eeeh, si riempivano i carrelli, quando facevamo i conti mancava un sacco di roba. Allora ho fatto venire questa cugina mia e ha cominciato a indagare e a controllare e lei si è accorta anche, oltre a quelli che mettevano la roba nei carrelli, si è accorta di una che faceva la spesa in pizzicheria, spendeva 30/40 mila lire, allora c’erano le lire, e mi pagava solo duemila lire di pane. Ah, quando l’ho scoperta sono stata zitta perché ho detto, mo’ come ritorna la tengo sott’occhio io. Però fatalità è venuta meno spesso quel periodo, allora un sabato sera mio marito ha fatto: “Andiamo con questi tre, quattro amici a mangiare a Ostia, a un ristorante bello di Ostia, Ostia antica”. Verso il paese, c’è un ristorante bello, c’è una discesa, poi dentro è bello, largo: ci mettiamo seduti tutti quanti, chiacchierando, proprio al tavolo di fronte c’era questa disgraziata che mi rubava la spesa alla pizzicheria, Ahò, non ce l’ho fatta, mi sono tirata in piedi e le ho fatto: “Ah, a me rubi la spesa di trenta/quarantamila lire e te le vieni a mangiare qui? Ma non ti vergogni, disgraziata?” Si è alzata con tutti gli amici e se ne è andata, ha lasciato pure il pranzo, la roba… e questa mi è venuta in mente perché mi hai detto di racconta qualcosa.
Siamo stati in televisione quattro o cinque volte con mio marito, abbiamo raccontato la nostra storia, che lui è venuto al paese, che mi ha visto e mi ha subito sbranato gli occhi addosso e allora ha cominciato a venire tutte le domeniche ma io non me lo filavo e allora ha chiesto aiuto a un cugino mio lì del paese e sto cugino mio gli fa: “Ma che, quella bella moretta? Quella è mia cugina, te la presento io”. Difatti questo mio cugino lui gli ha parlato di me e ci ha presentato e lui tutto contento con questi occhioni celesti mi ha incantato.
Maria Teresa: Da che paese veniva?
Elisa: Da Pescorocchiano, in provincia di Rieti. E mio cugino lo ha portato su all’ultima piazza del paese perché io abitavo là, e mi ha subito messo, come se niente fosse, la mano sulla spalla e io gli ho fatto. “Ahò!” (ride) e da lì poi è cominciato …
Maria Teresa: E quindi a Garbatella quando ci siete venuti?
Elisa: Lui veniva a Pescorocchiano perché la mamma sua aveva un fratello sposato a Pescorocchiano. Allora veniva la mamma a fare le ferie d’estate e lui veniva a trovarla.
Maria Teresa: Perché lui era di Garbatella?
Elisa: Lui sì, è nato al Lotto 16, ci è proprio nato e ci è vissuto finché non era grande e poi noi ci siamo conosciuti così e poi ci siamo sposati, abbiamo fatto quasi tre anni di fidanzamento e ci siamo sposati. E sono 65 anni che lo sopporto. I figli? quattro, un maschio e tre femmine più otto nipoti. Ora sono vecchia, 84 anni, sono del ’38, di novembre.
Maria Teresa: Avete festeggiato i 50 anni di matrimonio?
Elisa: Come no, bellissimo. I 50 anni di matrimonio li ho festeggiati a San Gregorio al villaggio su dei frati, c’è una chiesa dei frati che facevano i pranzi, facevano da mangiare: abbiamo festeggiato là e anche gli 80 anni suoi abbiamo festeggiato là. Di fatti c’è stata Patrizia, c’è stato Giorgio, abbiamo fatto una festa bellissima pure…
Maria Teresa: E venite spesso qui al centro anziani?
Elisa: Qui sì, quasi veniamo tutti i giorni, stiamo sempre qua.
Maria Teresa: Quindi vi siete fatti delle amicizie qui?
Elisa: Sì beh conosciamo tutti, ormai sono anni che veniamo.
Maria Teresa: Ma se li porta proprio bene lei gli anni…
Elisa: Grazie! Beh, insomma, ho un po’ di doloretti, quando sì, quando no ma cerco di sopportare, e ho detto quando il Signore vuole, io sto qua. Quando lo dico a mio marito lui mi dice: “Tu mi stai a piglia’ in giro perché il Signore non ti vuole!” (ride)
Susanna: Senta ma perché là ci sono tutti uomini e qua un mix [n.d.r. nella sala interna del centro anziani]?
Elisa: Ah, quello è un gruppo, sono sempre stati solo uomini…oggi c’è poca gente, mentre qua è sempre pieno, tutte donne, quattro donne là, qui sono misti, due donne e due uomini… vengono moglie e marito, oppure viene una donna col compagno, con la compagna…
Maria Teresa: Si sono create delle coppie anche qui al centro anziani?
Elisa: Eh senza meno, parecchi, perché vedovo lui vedovo lei, oppure lui è diviso, lei pure, oppure lei è vedova, lui è diviso e si mettono assieme…. difatti quando ballano giù, io avevo il vizio di fargli le foto: lei, Patrizia, mi ha strillato, ha detto: “Non le fare le foto perché tanti hanno la moglie però ballano, s’accoppiano con altre, se le vedono sul telefono mi fai litigare”. Ho detto: “Per carità, io non voglio far litigare nessuno e allora non le ho fatte più”.
Maria Teresa: E poi le pubblicava su social?
Elisa: Le mettevo su Facebook!
Maria Teresa: Ancora sta su Facebook?
Elisa: Sì io tutto: ho Instagram, Facebook, ho Ticche Tocche … mio marito si incavola, lui dice perché divento rincoglionita con questo io gli ho detto no no, questo mi sveglia, quale rincoglionita… L’altro giorno siamo stati a un ristorantino, le ultime foto, mo’ te le faccio vedere, eccole qua, qui sto con lui, questo è il cugino, questo è lui, qui è tutta la sala, questo ci porta sempre il vino e la frutta, ha portato una cassetta di mandarini, vedi?
Maria Teresa: E dove stavate qua?
Elisa: … A Lanuvio, dopo i Castelli, questo gli amici più stretti, questo è il cugino, questo è mio marito, questa è la compagna del cugino…
[Intervistata al Centro sociale in Via Pullino il 15 dicembre 2022]
Patrizia Finizio, la vicepresidente del Centro Anziani di via Pullino si racconta…
Ho conosciuto un romano sulle Dolomiti poi dopo ci siamo innamorati, ci siamo sposati, io sono venuta ad abitare a Roma, a Garbatella, al Lotto 16 a via Vettor Fausto. Poi dopo 14 anni purtroppo mio marito è morto, però io sono rimasta qui al centro anziani perché ormai avevo le mie amicizie, le mie conoscenze, il quartiere è bello, mi trovo bene, io sono della provincia di Caserta, sono tanti anni che abitavo a Latina e diciamo che quando ho sposato questo romano a me Roma piaceva e ci sono rimasta.
D.: Aveva un lavoro?
R.: No, perché mio marito era un maresciallo dei carabinieri che poi è andato alle Ferrovie e io stavo a casa. Lui era vedovo con tre figli ma più grandi di me, i figli sono sposati, sono rimasta pure per loro, perché mi rispettano, quando c’è un compleanno, una cresima, una comunione, un matrimonio mi cercano sempre, diciamo che la famiglia mia sono un po’ loro.
D.: In che anno è venuta a Roma? Cioè, in che anno si è sposata?
R.: Nel ’91 e poi sono rimasta vedova nel 2005, perciò ecco da allora sto qua a Roma a Garbatella. Adesso faccio il volontariato in questo centro anziani a Garbatella.
D.: Mi racconti un po’ del centro anziani? Come funziona?
R.: Quando sono venuta qua, nella mia scala erano tutte vecchiette, come mio marito, perché mio marito aveva 70 anni e io ne avevo, quando l’ho conosciuto, 33. Eh! E insomma che è successo, che cercavamo un posto dove fare una partitina a carte con queste vecchiette e allora poi abbiamo visto questo centro anziani e siamo venuti qua e giustamente a me hanno detto che io non potevo venire perché ero troppo giovane… 60 anni ci volevano all’epoca, nel Novanta.
Allora ho fatto presente che mio marito era anziano e così ho creato un precedente nel Municipio: essendo la moglie di una persona anziana avevo il diritto di frequentare il centro, così mi hanno fatto l’iscrizione e da allora sono rimasta sempre qua. Ormai tutte queste persone anziane, amicizie, tutti mi conoscono e insomma per me è una famiglia qua. Da allora ho fatto sempre il volontariato, ho fatto pure carriera, sono diventata vicepresidente!
D.: DI cosa si occupa esattamente?
R.: Apriamo, chiudiamo, stiamo attenti ai locali che non facciano danni, segnaliamo al Municipio, e poi ecco, se c’è da dare una mano, qualcosa, lo facciamo pure, organizziamo tante cose qui nel centro anziani. Ecco, adesso abbiamo due tombolate, una il 21 dicembre, un’altra sta scritta lì in bacheca… abbiamo fatto due pranzi sociali, poi abbiamo l’ultimo dell’anno col veglione … ci sono tante attività, si balla 4 volte a settimana, ci sono anche le attività la mattina: martedì e giovedì c’è la ginnastica dolce per quegli anziani che si iscrivono, poi il mercoledì e venerdì c’è il ballo con la maestra di ballo che insegna agli anziani …
D.: Che balli fanno?
R.: Balli di gruppo
D.: Quanti anziani sono iscritti in questo centro?
R.: Allora, eravamo 1200, poi con gli anni, diciamo che ci sono stati diversi decessi ma anche nuove iscrizioni perché poi qua è come un rosario, ogni giorno c’è una brutta notizia che qualcuno…
D.: Ma tutti di Garbatella sono?
R.: No, non solo della Garbatella, ma del Municipio VIII.
[Intervistata il 17 dicembre 2022 presso il Centro Anziani di Via Pullino]
Maddalena F., ultima di 14 figli
Mi chiamo F. Maddalena. Perché le persone anziane usano prima il cognome e poi il nome? Perché iniziavamo dall’asilo, poi alle elementari, tutte le scuole ti chiedevano prima il cognome poi il nome.
Io sono nata a Testaccio, poi so’ andata a abita’ a Ostiense. Facevo la commessa a via del Viminale, in una lingeria. Adesso a Garbatella vengo al Centro Anziani perché abito in zona, vicino al parco Schuster, sto a un passo, perciò…tutti i giorni che si balla vengo qua. Martedì, giovedì, sabato e domenica vado a scuola di ballo. Ogni volta c’è una orchestra diversa, con la fisarmonica, la pianola. Facciamo i balli classici: baciata, tango, valzer, limbo, mambo, rumba, sirtaki. Compagnia, si cerca compagnia. Gli uomini vengono a prendere le donne che stanno sole. Ho ballato da bambina con mio fratello, poi ho ballato con uno, poi mi sono sposata, lui era geloso, fine del ballo!
Il Centro Anziani è un posto di comunicazione, di chiacchere, si balla, si sta in compagnia. Io e la mia amica ci mettiamo in prima fila. Quando non ci vedono ci cercano.
Oltre al centro anziani ci frequentiamo io e una mia amica. Facciamo venire cucinato. C’è sempre una cuoca da pagare ma è poco.
Camminare? Ma per carità, sto tanto bene qui!
Io sono l’ultima di 14 figli. “Fate i figli per la patria”, diceva Mussolini, voleva tanti figli! Una volta bastava un po’ di latte col pane e cenavi. Non è che dovevi fare secondo e terzo. Adesso siamo rimasti in tre. In cinque anni sono morti cinque fratelli e quattro cognate. Mamma era del 1905, papà del 1902. Erano i custodi della scuola Carlo Cattaneo a Testaccio, noi stavamo là dentro. C’avevamo i fichi, il giardino, c’avevamo le galline. Quando mio padre ha compiuto sessant’anni dovemmo andar via. Ci volevano dare una casa popolare a Tiburtina ma mia madre non ci è voluta andare ed è andata in una casa popolare a Testaccio, a 200.000 lire al mese.
Non c’erano neanche i frigoriferi, c’erano le ghiacciaie. Quando stavo a Testaccio c’era il grattacheccaro, di fronte ci andavamo a prendere le stecche di ghiaccio per la ghiacciaia. Davanti alla Stazione Ostiense c’era il cocomeraro. In alcune case c’erano gli asili che tenevano i bambini.
Mi hanno messo in collegio fuori Roma, dalle suore del Cristo Re, a Corviale, a dieci anni. Mi veniva a trovare mio padre, mamma no. Mi portava le cioccolate… Stavo bene, sono adattabile… ero tranquilla e non avevo paura di niente… Ero solo io in collegio, era un servizio pubblico, non pagavamo niente.
Ho lavorato dai 13 anni. Tutte le donne a quel tempo portavano il busto, io e mia sorella facevamo le bustaie. Cucivamo i busti con le stecche di plastica dura.
Poi ho fatto la commessa in una lingeria in Via del Viminale.
[Intervistata il 17 dicembre 2022 presso il Centro Anziani di Via Pullino]
Rina Perugia, di una famiglia di rabbini
Io sono Rina Perugia, di genitori ebrei, di una famiglia di rabbini. Nel 1938 era già scoppiata la guerra in Polonia, poi in Italia ci sono state le leggi razziali, a scuola non ci si poteva andare, perché ce lo scrivevano sulla pagella che eravamo di “razza ebraica”. Papà mio lavorava all’azienda tranviaria. Siccome lui non voleva la tessera del fascio, lo hanno cacciato via. Lo hanno comunque perseguitato, essendo ebreo. Lo hanno preso i fascisti – è tutto documentato presso il Ministero della Guerra – lo hanno portato vicino a Fiume; poi con la volontà del Signore e degli amici, è scappato ed è diventato partigiano con le brigate ebraiche. Nel frattempo, noi eravamo piccolini, mamma era sola, e a piazza Giovanni da Lucca, dove c’è ancora mia sorella, nel palazzo ci volevano bene. A Santa Galla c’era il parroco Don Bianchi, padre Vittorio. Sapendo che il 16 ottobre del 1943 c’era stato il rastrellamento al Portico d’Ottavia, lui ci venne a prendere. Era notte, veniva un’acqua che solo Dio ce lo sa. Con un ombrellone grande, da Trionfale a via Tito Livio se la semo fatta tutta a piedi e lui ce diceva che st’ombrello era la cuppola del San Pietro e ce portò dentro a ‘sto convento [del Bambin Gesù] e ‘ste suore c’hanno amato, c’hanno voluto bene. Noi siamo stati i primi ebrei che siamo entrati nella loro scuola, quando siamo entrati – io ancora adesso ho come una visione – c’era un tavolo grande, poi chi aveva mai visto tutto queste suore, vestite di nero, con tutti questi cappelli, e i pianti – nun glie dico – se sprecavano, eravamo io, mio fratello grande e mia sorella, la seconda – io so’ la terza –, mamma aveva un bimbo di quaranta giorni che c’aveva l’ernia strozzata, e il prete disse: “Come faccio a portarlo?” e quindi rimase con mamma, e mamma lo ricoverò ad un altro convento, alla Madonna del Riposo. E così siamo rimasti lì. Le suore avevano talmente capito che c’era una tragedia sovrumana, hanno raccolto tanti ebrei, c’è anche una lista… Loro stavano a via Tito Livio.
A Garbatella siamo ritornati nel ‘46 quando papa mio è stato liberato dai partigiani. Don Bianchi, che noi amo sempre seguito, stava poi alla Chiesa di Santa Maria in Trastevere. Noi fino a che loro sono stati vivi - tra le suore del Bambino Gesù e don Bianchi - li abbiamo sempre seguiti, gli siamo stati sempre vicini fino alla morte. Papà mio diceva che bisognava essere riconoscenti perché ci avevano salvato.
Sono tornata coi genitori a Garbatella e poi è cominciata la vita che non c’era più niente, i tedeschi, i fascisti c’avevano levato tutto, mia nonna aveva dato anche le fedi d’oro, avevano detto: “Ce date cinquanta chili d’oro e ve salvamo”, invece….
Io c’ho parecchi parenti deportati in Germania che non sono più tornati, i parenti di mamma, i Terracina e i Perugia.
Zio mio sta alle Fosse Ardeatine, zia mia, Mirella, ha fatto mettere la pietra d’inciampo con la volontà mia in memoria di Fortunata. Sta sotto al portone mio, a piazza Eugenio Biffi 2.[La pietrà d'inciampo è stata inaugurata il 19 gennaio 1921].
Zia mia per salvare il figlio - tre figli glieli hanno presi al Portico d’Ottavia nel ‘43, zia mia l’anno presa nel ‘44 all’ultima retata e non è più tornata, cercavano Guido, l’ultimo figlio de zia, è stata una spiata, zia ha negato che il figlio stava a casa, lo fece salta’ dalla finestra. Se portarono via lei e non è più tornata.
Io so cresciuta in Garbatella ch’erano tutti prati e papaveri, margherite. Quando avevo sette-otto anni c’era la casetta di Parmera [?], erano tutti contadini, vicino a Santa Galla c’era l’orto, ci andavamo a giocare.
Mano a mano ho visto crescere tutta la Circonvallazione, ho visto asfalta’ la Colombo ch’era tutta terra e l’estate aspettavamo il gelataio col cappellone che faceva i coni per strada.
Ho studiato fino alla terza professionale, ho fatto la maglierista dai tedeschi, in un laboratorio di tedeschi a piazza Cavour, mi hanno voluto bene, loro abitavano a Berlino, erano stati sfrattati e poi erano venuti a Roma, lei era una ragazza madre - la signora Ligavetz - poi mi sono sposata.
[Intervista realizzata il 22 dicembre presso il centro Moby Dick]
Jole Zedde, vittima innocente della guerra
Una targa al lotto 28 (accesso da Via Massaia 22) ricorda la giovane sedicenne Jole Zedde (1927-1943), uccisa il 12 settembre 1943 da alcuni colpi di mitra sparati dai soldati tedeschi mentre era alla ricerca del fratello minore nei pressi dei binari accanto alla stazione Ostiense, dove stazionavano da alcuni giorni alcuni treni carichi di viveri, presi d’assalto a più riprese dalla popolazione affamata.