Mario Savelli ricorda l’attrice Giulia Romoli
A Garbatella c’è uno storico teatro – il Mongiovino – costruito nel 1974 in un prefabbricato dall’attrice Giulia Romoli. Il nome si deve al paese natale dell’attrice, in Umbria.
Il cavallo forte di Giulia Romoli era recitare il Lamento per la morte di Ignacio…C’era uno spettacolo che si chiamava Lorca a New York dove appunto veniva recitato Garcia Lorca, una serie di romanceros di Garcia Lorca e ricordo questa voce “No, non voglio vederlo”, il lamento per Ignazio…
Giulia Romoli era una di quelle donne che aveva una sua, come dire, creatività, ma non veniva sufficientemente presa in considerazione perché era una donna. All’epoca, una compagnia messa in piedi da una donna poteva sfondare in Italia solo se una donna era straniera, come Tatiana Pavlova, oppure se si presentava in coppia, come nel caso di Rina Morelli e Paolo Stoppa o Anna Proclemer e Giorgio Albertazzi.
Giulia Romoli che voleva fare una sua compagnia come donna, in autonomia, evidentemente subì una serie di limitazioni. Anche nel teatro cosiddetto di serie B, come era quello dei D’Origlia-Palmi, a Santo Spirito, si trattava comunque di una coppia. Se pensiamo al Nobel per la letteratura, la Deledda ha avuto il Nobel per la letteratura ma si parla meno della Deledda che non di Pirandello e quindi credo che Giulia Romoli avesse soprattutto questo tipo di difficoltà e alla fine dovette cedere il teatro agli Accettella che da allora lo utilizzano come teatro dei burattini.
[Intervistato in una caffè a piazza di Sant’Eurosia il 15 dicembre 2022]
La storia di Irene e Tommaso a Garbatella
Giuliana Zagra, esperta di letteratura italiana del Novecento, introduce i personaggi di Irene e Tommaso Puzzilli, protagonisti del romanzo di Pier Paolo Pasolini "Una vita violenta" (Milano: Garzanti, 1959). I due giovani si incontrano proprio nel quartiere di Garbatella, dove Irene abitava in via Anna Maria Taigi.
Rossana di Lorenzo, sora Garbatella
Rossana Di Lorenzo, classe 1938, sorella di Maurizio Arena, zia dello showman Pino Insegno, ha vissuto alla Garbatella sin dall’infanzia in un lotto ATER in Via della Garbatella 24 dove i suoi nonni giunsero nel 1922. Schietta, ben piantata, con la parlata dialettale, si è fatta da sola.
Lanciata verso il successo da Alberto Sordi con i film "Le coppie" ,"Il presidente del Borgorosso Football Club" e "Il comune senso del pudore", ha lavorato come attrice tra gli anni Settanta e Novanta del Novecento recitando in ben 20 film, anche per registi importanti come Mauro Bolognini, Vittorio Gassman, Mario Monicelli, Ettore Scola, Carlo Vanzina, Luigi Zampa.
Durante la sua carriera, si dedicò anche alla televisione e al teatro.
Nel quartiere della Garbatella ha partecipato a diverse iniziative di solidarietà collaborando con le associazioni locali.
Ci ha lasciato il 13 agosto 2022.
L’edicola di Raffaella Chiatti, la Sora Lella
L’edicola in piazza Brin è stata realizzata dall’artista Micaela Serino, nell’ambito del progetto “Donne stradarole” (2019), curato da Marta Cavicchioni.
Prendendo spunto dalle edicole sacre delle città medievali e rinascimentali che avevano il compito di illuminare le strade e proteggere i passanti dalla violenza, le edicole delle Donne Stradarole intendono proteggere contro la violenza di genere, la violenza della discriminazione. Sono edicole laiche che vogliono illuminare le strade della memoria e costruire ponti tra le generazioni e fiducia nella comunità.
Così un antico strumento di devozione e protezione si trasforma in un nuovo mezzo di comunicazione popolare e attraverso il filtro dell’arte restituisce alla memoria di tutti quattro storie di figure femminili dimenticate.
Nel settembre 1943 Raffaella Chiatti divenne partigiana e gappista, unica donna del VII Gap, Gruppo di Azione Patriottica. Dato che lavorava in Croce Rossa come infermiera, dopo l’8 settembre entrò in clandestinità perché, proprio come infermiera, era esentata dal coprifuoco e quindi andava in giro di notte per aiutare La Resistenza. L’artista ha incollato sotto il suo ritratto tutte le immagini delle 21 donne che fecero parte della Costituente oltre a immagini di varie partigiane. La tecnica utilizzata è stata quella di spalmare il legno dell’edicola con del cemento, affinché sembrasse un muro dove poter scrivere o disegnare. Poi sono stati usati degli smalti. La Sora Lella era l’unica donna del GAP di Garbatella ma di lei non parla nessuna lapide e non è stata ricordata da nessuna parte, prima d’ora. Solo di recente, sono stati ritrovati dei documenti che attestano la sua atività nell’ambito della resistenza romana. Un documento del 24 luglio del 1946 proveniente dalla sezione Cinelli di Garbatella del Partito Comunista Italiano, riporta la sua testimonianza di una serie di azioni alle quali prese parte come gappista.
L’edicola di Maria de Zayas, scrittrice
L’edicola al Parco Giovannipoli è stata realizzata dall’artista Marta Cavicchioni, nell’ambito del progetto “Donne stradarole” (2019), curato da Marta Cavicchioni.
Prendendo spunto dalle edicole sacre delle città medievali e rinascimentali che avevano il compito di illuminare le strade e proteggere i passanti dalla violenza, le edicole delle Donne Stradarole intendono proteggere contro la violenza di genere, la violenza della discriminazione. Sono edicole laiche che vogliono illuminare le strade della memoria e costruire ponti tra le generazioni e fiducia nella comunità.
Così un antico strumento di devozione e protezione si trasforma in un nuovo mezzo di comunicazione popolare e attraverso il filtro dell’arte restituisce alla memoria di tutti quattro storie di figure femminili dimenticate.
Scrittrice spagnola del ‘600, Maria de Zayas fu una delle prime a denunciare nei suoi racconti il ruolo di subalternità delle donne e la violenza alla quale erano sottoposte. Sollecitò le donne a cercare l’indipendenza e gli uomini a educarsi alla non violenza. In una società dominata dall’Inquisizione e nella quale le donne non potevano partecipare ad alcun processo decisionale, Maria narrò di donne che si opposero a ruoli ritenuti immutabili e a ogni limitazione di genere, razza e classe.
Marta ha deciso di trasformare l’edicola in una stanza. La base dell’edicola è diventata uno scrittoio sul quale Maria de Zayas scrive le sue opere. E lei è fatta della sua stessa sostanza: le pagine delle sue novelle. E quindi è fatta di strati di cartapesta. La cartapesta è resistente ed elastica, proprio come gli scritti di Maria de Zayas. Pur essendo una aristocratica, ella richiedeva per tutte le donne l’istruzione e questo non è da poco.
L’edicola di Hazel Scott, musicista
L’edicola al Parco Caduti del Mare è stata realizzata dall’artista Cecilia Milza, nell’ambito del progetto “Donne stradarole” (2019), curato da Marta Cavicchioni.
Prendendo spunto dalle edicole sacre delle città medievali e rinascimentali che avevano il compito di illuminare le strade e proteggere i passanti dalla violenza, le edicole delle Donne Stradarole intendono proteggere contro la violenza di genere, la violenza della discriminazione. Sono edicole laiche che vogliono illuminare le strade della memoria e costruire ponti tra le generazioni e fiducia nella comunità.
Così un antico strumento di devozione e protezione si trasforma in un nuovo mezzo di comunicazione popolare e attraverso il filtro dell’arte restituisce alla memoria di tutti quattro storie di figure femminili dimenticate.
Bambina prodigio, pianista e cantante jazz, Hazel Scott rifiutò di esibirsi nei luoghi d’America in cui vigeva la segregazione razziale e lottò per la difesa dei diritti delle donne. Raggiunse l’apice del successo tra gli anni Trenta e gli anni Cinquanta ma le sue battaglie la fecero finire nella lista nera dei professionisti del mondo dello spettacolo ritenuti antiamericani e filocomunisti. Fu la prima donna afroamericana a condurre un programma televisivo - l’Hazel Scott Show - interrotto dopo la prima puntata a causa delle sue critiche alle liste di proscrizione. Hazel continuò a suonare e a cantare per tutta la sua vita.
L’artista la ha rappresentata attraverso un’opera astratta, fortemente legata al concetto di trasformazione, realizzata con elementi metallici. Nel pensare a un’assonanza tra jazz e metallo, Cecilia Milza ha trovato per strada una sbarra di ferro arcuata che per la forma le ha suggerito un rimando a una porta con forme curve e non rette, quindi in assonanza con il femminile. Ha immaginato un arco di amazzone, come una freccia di un ideale forte, lanciata verso l’umanità e anche, allo stesso tempo, una vulva che, nelle culture antiche era considerata sacra poiché era ritenuta una porta di accesso, un varco, tra visibile e invisibile. Ha messo al centro di questo arco-vulva una ipotetica clitoride a forma di nocciolo - perché Hazel in inglese significa nocciolo - che è pendente quindi libera, mobile, libera di interagire con gli elementi, col vento e quindi suonare andando a scontrarsi con il resto degli elementi metallici. Ci sono anche 88 lamine di rame che simboleggiano gli 88 tasti del pianoforte, sia perché Hazel era un’eccellente pianista ma anche per significare le persone, perché i tasti del piano sono bianchi e neri come ancora viene rappresentata la nostra realtà, non solo ai tempi di Hazel, in termini razziali, mentre lei li ha voluti realizzare in un unico materiale per dire che le persone appartengono tutte alla stessa razza che è quella umana.
L’edicola di Lise Meitner, fisica
L’edicola al Parco Cavallo Pazzo è stata realizzata dall’artista Debora Malis, nell’ambito del progetto “Donne stradarole” (2019), curato da Marta Cavicchioni.
Prendendo spunto dalle edicole sacre delle città medievali e rinascimentali che avevano il compito di illuminare le strade e proteggere i passanti dalla violenza, le edicole delle Donne Stradarole intendono proteggere contro la violenza di genere, la violenza della discriminazione. Sono edicole laiche che vogliono illuminare le strade della memoria e costruire ponti tra le generazioni e fiducia nella comunità.
Così un antico strumento di devozione e protezione si trasforma in un nuovo mezzo di comunicazione popolare e attraverso il filtro dell’arte restituisce alla memoria di tutti quattro storie di figure femminili dimenticate.
Austriaca, Lise Metner, fu lei a dare la prima interpretazione della fissione nucleare ma non le fu assegnato il Nobel che andò invece al fisico con il quale collaborava, Otto Hahn. Il mondo scientifico la discriminò in quanto donna, lasciandola a lungo senza stipendio e senza accesso ai laboratori. All’avvento del nazismo fu discriminata per le sue origini ebraiche e dovette espatriare in Svezia. Da pacifista, si oppose, anche a discapito della sua carriera, a un uso bellico delle sue ricerche sull’energia nucleare. Lei è una donna che ci ha insegnato quanto sia importante l’identità e la lotta continua per le proprie idee.
L’artista Debora Malis la ha ritratta in modo classico, senza troppi contrasti, introducendo alcuni elementi ironici: una corona di atomi al posto della corona sacra, un cuore spezzato al posto del cuore sacro. Ha utilizzato la terracotta, suo mezzo privilegiato di espressione, con parti in rilievo in ceramica e pittura acrilica su legno.
Oh My darling Clementine
Murale realizzato nel 2020 in via Francesco Passino dagli street artist Flavio Solo e Diamond che hanno ritratto in stile floreale Clementina Eusebi, l’ostessa forse proprietaria di una locanda nei pressi della Basilica di San Paolo tra il 1835 e il 1850 e la cui madre di chiamava Maddalena Garbata. Ecco perché forse la figlia veniva soprannominata Garbatella. Secondo un’altra ipotesi, il toponimo Garbatella potrebbe derivare dalla coltivazione della vite “a barbata” o “a garbata”, nella quale le viti vengono maritate ad alberi di acero od olmo. Tale tecnica era stata adottata nell’Ottocento nella “Tenuta dei 12 cancelli”, di proprietà del monsignor Alessandro Nicolai, ministro dell’agricoltura di papa Gregorio XVI.
L’opera è stata realizzata nell’ambito dell’iniziativa “Muri Sicuri 4: le Guide di Roma e l’Arte Urbana” per raccogliere fondi da destinare a Prata d’Ansidonia, comune abruzzese colpito nel 2009 dal Terremoto dell’Aquila.
Le ragazze di Piazza di Spagna
"Le ragazze di piazza di Spagna" è un film diretto da Luciano Emmer nel 1952, che racconta le vicende di un gruppo di sarte che vivono in periferia ma lavorano presso una rinomata casa di moda nei pressi di piazza di Spagna.
Una di loro, Marisa (Lucia Bosè), abita in piazza Giuseppe Sapeto dove furono girate alcune scene.
L’atelier è invece quello delle celebri Sorelle Fontana, specializzate in produzioni sartoriali di alta moda che vestirono tante dive del cinema degli anni Cinquanta e Sessanta.
Proprio come nel film la signora Maria Teresa, nata e cresciuta alla Garbatella, ha lavorato per le Sorelle Fontana e ci ha raccontato la sua storia.