1 - All'aspetto aveva fatto i capelli bianchi [Voce: Vanna Locatelli]
All'aspetto, aveva fatto i capelli bianchi e le spalle curve da gobbetta, rimpicciolendosi fino a sopravvanzare di poco la statura di certe sue scolare. Eppure, attualmente la sua resistenza fisica sorpassava nella mole il gigante Golia che era alto sei cubiti e un palmo e indossava una corazza di cinquemila sicli di rame.
Era un enigma dove quel corpicino dissanguato attingesse certe riserve colossali.
A dispetto della denutrizione, che visibilmente la consumava, Ida non avvertiva né debolezza né appetito. E invero, dall'inconscio, un senso di certezza organica le prometteva una specie d'immortalità temporanea, che immunizzandola da bisogni e da malattie le risparmiava ogni sforzo per la sua sopravvivenza personale. A questa volontà... innominata di preservazione, che regolava la chimica del suo corpo, ubbidivano anche i suoi sonni, che in tutto quel periodo, quasi a servirle da nutrimento notturno, furono insolitamente regolari, vuoti di sogni e ininterrotti, nonostante i rumori esterni della guerra.
Però all'ora di alzarsi un fragore interno di rintocchi grandiosi la scuoteva. “Useppe! Useppe!” era il grido di quei tumulti. E immediatamente, prima ancora di svegliarsi, con le mani affannose essa cercava il bambino.
A volte, se lo trovava rannicchiato in petto, che dormendo le brancicava le mammelle in un movimento cieco e ansioso. Dall'epoca che lo allattava nei suoi primi mesi di vita, Ida era disavvezza alla sensazione di quelle due manucce che la brancicavano; ma le sue mammelle, già scarse allora, adesso erano prosciugate in eterno. Con una tenerezza bestiale e inservibile, Ida staccava il figlietto da sé. E da quel momento incominciava la sua battuta diurna per le vie di Roma, cacciata avanti dai suoi nervi come da un esercito di armati che la frustassero in doppia fila.
2 - Via via smarrì ogni senso d'onore e di vergogna (Voce: Vanna Locatelli)
Via via smarrì ogni senso d’onore e di vergogna, oltre che di paura.
Una volta, rincasando verso mezzogiorno, incontrò molta gente con pacchetti in mano che veniva dalla piazza di Santa Maria Liberatrice dove i Tedeschi distribuivano gratuitamente dei viveri. Questa elargizione straordinaria nei quartieri popolari, consigliata in quei giorni dalla paura, mirava alla propaganda e allo spettacolo. Difatti lo stesso generale in capo dei Germanici (il pasciuto re di Roma) presiedeva alle distribuzioni, e sulla piazza, intorno ai camion operavano i fotografi e le macchine da presa. [...] Ida, alla vista di quei pacchi, avvertì solo un’avidità impetuosa, che la risucchiava dall’interno. La sua mente si vuotò, Il sangue le corse per tutto il corpo, fino a spargerle sulla pelle delle chiazze infiammate. E facendosi largo a spinte nella calca della piazza, tese le mani verso i camion, a ritirare il suo chilo di farina.
3 - Ma in quella primavera del '45 (Voce: Vanna Locatelli)
Ma in quella primavera del '45, un giorno sua madre, dopo averlo lasciato in attesa per pochi momenti fuori d'una bottega, lo ritrovò che osservava certe riviste illustrate, appese sul fianco di un'edicola, a una certa altezza da lui.
Su quella più bassa, spiegata a doppio, il foglio era occupato quasi per intero da due fotografie d'attualità, entrambe di gente impiccata.
Sulla prima si vedeva un viale alberato di città, lungo la spalletta di un ponte semidistrutto. Da ogni albero del viale pendeva un corpo, tutti in fila, nella stessa identica posizione, con la testa inchinata su un orecchio, i piedi un poco divaricati e le due mani legate dietro la schiena. Erano tutti giovani, e tutti malvestiti, dall'aria povera.
Useppe, con la testa in su, stava lì a scrutare queste scene, in uno stupore titubante, e ancora confuso. Pareva interrogasse un enigma, di natura ambigua e deforme, eppure oscuramente familiare.
“Useppe!” lo chiamò Ida; e lui, dopo averle porto docilmente la manina, la seguì perplesso, tuttavia senza chiederle nulla. Di lì a poco, attratto da qualche nuova curiosità, s'era già dimenticato dell'edicola.
4 - Seppur con ritardo Ninnuzzu (Voce: Vanna Locatelli)
Seppure con ritardo, Ninnuzzu mantenne la parola e venne con la motocicletta. Per evitare che, a lasciarla sola nella strada, gliela rubassero, non salì, ma dal basso prima fischiò verso la finestra dei Marrocco, e poi chiamò: “Useppe! Useppeee!”, suonando il clacson a volume spiegato.
Come lo scorse dall'alto, che guardava in su, accosto alla sua macchina smagliante, Useppe cominciò a fremere per l'impazienza da capo a piedi; e immediatamente, senza dir parola, corse a precipizio verso le scale (quasi timoroso che, nel frattempo, il motociclista dileguasse) così che Ida dovette rincorrerlo per dargli il paltoncino e la scoppoletta. […]
La partenza fu strepitosa; e il viaggio, un vero raid fantascientifico per Useppe! Fecero tutto il Centro Storico, da Piazza Venezia a Piazza del Popolo, e poi a Via Veneto, Villa Borghese, e poi di nuovo indietro Piazza Navona, e il Gianicolo, e San Pietro!
Si scaraventavano per tutte le strade con un rumore gigantesco, perché Ninnarieddu, per far sentire chi era lui, aveva abolito il sistema della marmitta. E al loro passaggio la gente scappava da tutte le parti sui marciapiedi, e protestavano, e le guardie fischiavano. Useppe non aveva mai conosciuto quei quartieri, che in un ciclone risplendente correvano addosso alla motocicletta di Nino, come a una sonda spaziale lanciata attraverso i pianeti.
5 - Durante tutta la trascorsa estate del '46 (Voce: Vanna Locatelli)
Durante tutta la trascorsa estate del 1946, pure fra le sue molte gite e partenze, e traffici misteriosi, Ninnuzzu era stato insolitamente assiduo, in Via Bodoni. Ma un giorno, sulla metà di luglio, invece di questi suoni abituali si udì dal basso del cortile la voce di Nino chiamare: “Useppee! Useppeee!”, accompagnata da un grande abbaio espansivo.
Invaso dal presentimento di una sorpresa ineguagliabile, Useppe dette un'occhiata dalla finestra di cucina; e sgranando le pupille, senza nemmeno affibbiarsi i sandali infilò le scale in una discesa febbrile. Fatti i primi scalini, perse un sandalo; e invece di sprecare tempo a raccattarlo si sfilò anche l'altro e li lasciò lì tutti e due. Per far più presto, anzi, fece parte della discesa a scivolo sulla ringhiera; ma all'altezza del terzo pianerottolo si scontrò in un gigante bianco, il quale, come se lo conoscesse già da secoli, lo rapiva in una festa enorme. A quel punto Nino accorreva dal basso tutto ridente e frattanto Useppe si sentì leccare i piedi nudi. “Beh, e le scarpe, te le sei scordate?” notò da parte sua Nino, arrivando. E alle spiegazioni irrequiete di Useppe, senz'altro disse al cane: “Va', e pigliale, su, su!”
Immediatamente, il cane volò su per la scala, e ne riportò giù un sandalo; poi rivolò, e ne riportò già l'altro, con l'aria contenta di chi capisce tutto. Tale fu il primo incontro di Useppe con Bella.
6 - Un terraneo sui margini del Portuense (Voce: Vanna Locatelli)
Un terraneo sui margini del Portuense, non molto distante da Porta Portese. Stava nel basso di una costruzione isolata in muratura, a due piani oltre al piano terra [...] in fondo a un terreno vago e senza selci, di là da certe baracche con gli orti. Ci si entrava direttamente dalla strada, per un usciolo senza targa né campanello, e l'interno, di una sola umida stanzuccia, dava per un lato su una sorta d'immondezzaio, visibile da un finestrino a grata, che peraltro era sempre celato da una tenda. Sullo stesso lato del finestrino, c'era un letto di legno, non molto ampio, vegliato da due stampe sacre: una era la solita e ripetuta immagine del Sacro Cuore, e l'altra la figura di un santo di paese, col pastorale e i paramenti, e l'aureola intorno alla mitra vescovile. Il letto era coperto di un damasco di cotone rossastro, e aveva ai piedi un tappetino a buon mercato di stile orientale, ridotto quasi alla trama.
7 - Percorrevano l'ultimo tratto del viale Ostiense (Voce: Vanna Locatelli)
Percorrevano l’ultimo tratto del Viale Ostiense, già in vista della Basilica, quando una voce fresca di donna chiamò dietro a loro: “Useppe! Useppe!” Là in attesa, alla fermata dell’autobus, c’era una ragazza, con in braccio una creatura piccola, e a tracolla una borsa di paglia.
“Useppe! non mi riconosci?” essa continuò, sorridendo dolcemente. Bella già la stava annusando con una certa familiarità, ma Useppe, invece, sul momento, non seppe ravvisarla: piuttosto, la creatura piccola, benché sconosciuta, alla faccia pareva ricordargli qualcun altro. Era una pupetta appena lattante, chiaramente una femminella, poiché portava gli orecchini. Le sue guance erano tonde e vermiglie, con occhi neri neri, già ridarelli e vispi. E i suoi capelli scuri, umidi e fini, già lunghetti di parecchi centimetri, erano tutti ben allisciati, salvo un unico boccolo, arrotolato con gran cura, che le attraversava per lungo il colmo della testa.
“Non mi riconosci? Sono Patrizia! Ti ricordi di me?” […]
“Non te ne ricordi piú?... eh?... de quando semo iti assieme, sulla motocicletta!... non te ne ricordi?”
“..tí...”
“E questa, nun è Bella?... o me sbaio? Sei Bella, no? M’hai riconosciuto, Bella!?”
Patrizia appariva invero ingrassata, e al tempo stesso con qualcosa di patito e affaticato nella faccia. Adesso, portava i neri capelli legati da un nastrino in cima alla testa, e lasciati pendere all’indietro in una grande coda ondulante. In luogo di tutti quei monili vari che prima le tintinnavano addosso, attualmente portava un solo braccialetto di rame e altri metalli, il quale tuttavia tintinnava anch’esso con frequenza perché composto di più fili che si urtavano fra loro ai suoi gesti. E ogni volta, a quel tintinno, la pupetta esilarata agitava i piedi e le mani. Essa indossava una camiciolina bianca con un piccolo orlo di merletto, e il resto della sua persona era avvolto in una tela stampata a colori, con disegni dei cartoni animati, dalla quale sortivano le sue braccia e parte delle sue gambette, in grande movimento.
Ai piedi aveva delle scarpucce lavorate a maglia, bianche, e chiuse da un nastro di tinta rosa vivace. I suoi orecchini piccolissimi, simili a bottoncini, erano d’oro. Patrizia tentennava il capo, riguardando Useppe, il quale si volgeva in su con un piccolo sorriso.
“T’ho riconosciuto súbito, Useppe!» gli disse. E questa», aggiunse, è tua nipote!”
“Useppe si mostrò perplesso: £Sì, ti è nipote! tu sei suo zio!» confermò Patrizia, ridendo con la faccia tremante. E preso il polso alla figlietta, e muovendoglielo come a salutare, incominciò a dirle: Ninuccia, saluta Useppe! Fagli addio, a Useppe...» D’un tratto la risata le si ruppe in un pianto convulso. Cercava di asciugarsi le lagrime alla meglio col pugnetto della pupa, sospeso nel saluto, portandoselo agli occhi.”
8 - Frattanto riordinata la capanna (Voce: Vanna Locatelli)
Frattanto, riordinata la capanna, i due se ne andarono insieme alla tenda d'alberi. La volta dell'aria s'era fatta, adesso, tutta radiosa e limpida, fino all'ultimo orizzonte; e Useppe, dopo essersi issato senza sforzo sul suo solito ramo, ebbe la sorpresa di udire molte piccole voci di uccelli che cantavano la ben nota canzonetta: “È uno scherzo, uno scherzo, tutto uno scherzo».
Lo strano è che il corpo dei cantanti non si vedeva; e anche le loro voci, sebbene in coro, suonavano quasi impercettibili, da sembrare che gli fischiettassero la canzone all'orecchio, intendendo farsi udire solo da lui. Confuso, Useppe esplorava con gli occhi in basso, sul prato, e lungo i tronchi, e poi fissava in alto. Ma in basso c'era solo Bella che annusava l'aria, e in alto si vedevano solo stormi di rondini, che fuggivano in silenzio.
9 - Nell'ingressetto buio (Voce: Vanna Locatelli)
Nell'ingressetto buio, il corpo di Useppe giaceva disteso, con le braccia spalancate, come sempre nelle sue cadute. Era tutto vestito, salvo i sandaletti che, non affibbiati, gli erano cascati via dai piedi. Forse, vedendo la bella mattinata di sole, aveva preteso di andarsene pure oggi con Bella alla loro foresta? Era ancora tiepido, e cominciava appena a irrigidirsi; però Ida non volle assolutamente capire la verità....
Ora, nella mente stolida e malcresciuta di quella donnetta, mentre correva a precipizio per il suo piccolo alloggio, ruotarono anche le scene della storia umana (la Storia con S maiuscola) che essa percepì come le spire multiple di un assassinio interminabile. E oggi l'ultimo assassinato era il suo bastarduccio Useppe. Tutta la Storia e le nazioni della terra s'erano concordate a questo fine: la strage del bambinello Useppe Ramundo.
Essa riapprodò nella camera e si sedette sulla sedia vicino al sommier, in compagnia di Bella, a guardare il pischelletto.
[...] Il giorno dopo sui giornali apparve la notizia di cronaca: “Pietoso dramma al quartiere Testaccio - Madre impazzita vegliando il corpo del figlioletto”. E in conclusione vi si leggeva: “Si è reso necessario abbattere la bestia”. Quest'ultimo particolare - facile capirlo - si riferiva alla nostra pastora.
Al colpo che abbatteva la cagna, Iduzza ebbe un breve sussulto del capo: e questo fu, sembra, l'ultimo stimolo a cui la donna reagì, finché rimase viva. La sua esistenza doveva durare ancora più di nove anni.
Lei pure, come il famoso Panda Minore della leggenda, stava sospesa in cima a un albero dove le carte temporali non avevano più corso. Essa, in realtà era morta insieme al suo pischelletto Useppe (al pari dell'altra madre di costui, la pastorella maremmana). Con quel lunedì di giugno 1947, la povera storia di Iduzza Ramundo era finita.