1 - Un pomeriggio piovoso d'autunno (Voce: Vanna Locatelli)
Un pomeriggio piovoso d’autunno, Iduzza, sposata appena da pochi mesi, era stata scossa su al suo ultimo piano da un fragore di canti, urla e sparatorie per le vie sottostanti del quartiere. Difatti, erano le giornate della “rivoluzione” fascista, e in quel giorno, 30 ottobre 1922, si andava svolgendo la famosa “marcia di Roma”.
Una delle colonne nere in marcia, entrata in città per la porta di San Lorenzo, aveva trovato una aperta ostilità in quel rione rosso e popolare. E prontamente s’era data alla vendetta, devastando le abitazioni lungo la strada, malmenando gli abitanti e ammazzando alcuni ribelli sul posto. I morti di San Lorenzo furono tredici. Ma si trattò invero, di un episodio fortuito nel corso di quella facile marcia romana, con la quale il fascismo segnava la sua presa ufficiale del potere.
2 - Se avesse potuto vederlo invero (Voce: Vanna Locatelli)
Se avesse potuto vederlo, invero, si sarebbe forse accorta che lui, davanti a lei, stava nell'atteggiamento di un mendicante piuttosto che di uno sgherro. Con l'aria di recitare, apposta per impietosirla, la parte del pellegrino, aveva posato su una palma la guancia reclinata. E in una preghiera ilare benché proterva, nella sua voce di basso, già timbrata ma fresca e nuova, con dentro ancora qualche acidezza della crescita, ripeté due volte: "...schlafen... schlafen”.
[...]
Inaspettatamente la tenerezza amara che lo aveva umiliato col suo martirio fino dalla mattina gli si scatenò in una volontà... feroce: "...fare amore!... fare amore!..." gridò, ripetendo, in uno sfogo fanciullesco, altre due delle quattro parole italiane che, per sua propria previdenza, s'era fatto insegnare alla frontiera. E senza neanche togliersi la cintura della divisa, incurante che costei fosse una vecchia, si buttò sopra di lei, rovesciandola su quel divano letto arruffato, e la violentò con tanta rabbia, come se volesse assassinarla.
[…] Sul punto di andarsene, gli venne idea di lasciarle un ricordo, secondo un'usanza tenuta in certi suoi addii con altre ragazze. Però non sapendo che cosa darle, mentre si frugava nelle tasche vi ritrovò il suo famoso coltelluccio; e per quanto il sacrificio gli costasse, lo depose nella palma di lei, senz'altre spiegazioni. In cambio, lui pure voleva portarsi un ricordo. E girava lo sguardo perplesso intorno alla stanza, senza scoprirvi niente; quando gli cadde sott'occhio un mazzetto di fiori d'aspetto pesto e quasi unto […] nessuno s'era curato di mettere in fresco dalla mattina e giaceva su una mensola mezzo appassito.
Allora, ne staccò una piccola corolla rossiccia e deponendola con serietà in mezzo a certe sue carte nel portafogli disse: "Mein ganzes Leben lang!" (Per tutta la mia vita!) Per lui, naturalmente, non era che una frase. E la disse col solito accento millantatore e traditore di tutti i ragazzi quando la dicono alle loro ragazze. È una frase di figura, da usarsi per l'effetto; ma logicamente non vale, giacché nessuno può credere davvero di conservare un ricordo per tutta l'indescrivibile eternità... che è la vita! Lui non sapeva invece che per lui questa eternità. si riduceva a poche ore.
3 - Con la bella stagione (Voce: Vanna Locatelli)
Con la bella stagione, si può immaginare che Nino sempre più spesso marinasse la scuola, anche se le sue visite a Giuseppe in compagnia degli amici oramai non erano più che un ricordo lontano. Ma una mattina di sereno meraviglioso, apparve inaspettato a casa, vispo e fischiettando in compagnia del solo Blitz; e come Giuseppe, spuntando da sotto qualche “ubo”, al solito gli muoveva incontro, lui gli annunciò senz'altro:
“Ahò, maschio, annamo, oggi si va a spasso!”.
Così Giuseppe recluso fino dalla nascita compieva la sua prima uscita nel mondo né più né meno come Buddha.
Da vicino, immediatamente sotto i suoi occhi, la prima cosa che vedeva lungo la passeggiata, erano i riccetti neri di suo fratello danzanti nel vento primaverile. E tutto il mondo circostante, ai suoi occhi, danzava nel ritmo di quei ricetti. Sarebbe assurdo citare qui le poche vie per dove passarono, nel quartiere di San Lorenzo, e la popolazione che si muoveva intorno a loro. Quel mondo e quella popolazione, poveri, affannosi e deformati dalla smorfia della guerra, si spiegavano agli occhi di Giuseppe come una multipla e unica fantasmagorìa, di cui nemmeno una descrizione dell'Alhambra di Granata o degli Orti di Shiraz, né perfino del Paradiso Terrestre potrebbe rendere una somiglianza.
Per tutta la strada, Giuseppe non faceva che ridere, esclamando o mormorando, con la piccola voce venata da una emozione straordinaria: “Dondini, dondini…, ttelle… tole…, dondini,,,, ioia…, opi…”.
E quando infine si arrestarono su un misero piazzale d'erba, dove due stenti alberi cittadini avevano messo le loro radici, e si riposarono a sedere su quell'erba, la felicità di Giuseppe, davanti a quella bellezza sublime, diventò quasi spavento; e si aggrappò con le due mani alla blusa del fratello.
Era la prima volta in vita sua che vedeva un prato; e ogni stelo d'erba gli appariva illuminato dal di dentro, quasi contenesse un filo di luce. Così le foglie degli alberi erano centinaia di lampade, in cui si accendeva non solo il verde, e non solo i sette colori della scala, ma ancora altri colori sconosciuti. i casamenti popolari, intorno allo spiazzo, nella luce aperta del mattino, essi pure sembravano accendere le loro tinte per uno splendore interno, che li inargentava e li indorava come castelli altissimi. i rari vasi di geranio e di basilico alle finestre erano minuscole costellazioni, che illuminavano l'aria; e la gente vestita di colori era mossa intorno, per lo spiazzo, dallo stesso vento ritmico e grandioso che muove i cerchi celesti, con le loro nubi, i loro soli e le loro lune.
Una bandiera batteva al di sopra di un portone. Una farfalla cavolaia stava posata sopra una margherita. Giuseppe sussurrò:
“Dondine…”.
“No, questa non è una rondine, è un insetto! una farfalla! Dì: FARFALLA”.
Giuseppe ebbe un sorriso incerto, che lasciava vedere i suoi primi denti di latte da poco nati. Ma non lo seppe dire. Il suo sorriso tremava.
“Annàmo, forza! Dì: FARFALLA! Ahò! Diventi scemo!? E mò che fai! Piagni?! se piangi, non ti ci porto più, a spasso!
“Dòndine”
“No rondine! È una farfalla, t’ho detto! E io come mi chiamo?
“Ino”.
E lui, questo animale qua col collaretto, come si chiama?
“I”.
Bravo. E tu, come ti chiami? Sarebbe ora, che imparassi il nome tuo. Sai tutti i nomi del mondo, e il tuo non l'impari mai. Come ti chiami? Giuseppe! Ripeti: Giuseppe!»
Allora il fratellino si concentrò, in una durata suprema di ricerca e di conquista. E traendo un sospiro, con viso pensieroso disse: “Useppe”.
4 - Lo strazio delle lezioni (Voce: Vanna Locatelli)
Lo strazio delle lezioni lo rendeva quasi pazzo. Il banco gli era troppo stretto, e, anche senza accorgersene, ogni poco dava spinte, o sospirava. Di tutti gli argomenti che si trattavano in classe, a lui non importava assolutamente nulla: gli pareva comico che della gente si riunisse l... dentro per questo, sprecandoci intere mattinate. E lo prendeva la tentazione, proprio fisica, di erompere sui banchi buttando tutto all'aria, e dandosi alle imitazioni della tigre e del leone, come faceva a casa.” […]
Uno di quei giorni, durante un intervallo, il preside lo fece chiamare per avvisarlo che, all'indomani, se non si presentava accompagnato dalla madre, non sarebbe stato ammesso in classe. Lui disse: Va bene, e rientrò in aula. Ma, non appena rientrato, subito si pentì di esserci; e addusse il solito motivo del suo morbo, per farsi mandar fuori. Stavolta, però, uscito dall'aula, non si avviò ai cessi; ma scese la scalinata, e, passando davanti alla portineria, disse: Permesso speciale!, con una tale grinta che il portiere stesso ne ebbe paura, e non osò discutere. Siccome il cancello era chiuso, lo scavalcò. E appena fuori, pisciò contro il muro di cinta: dando con questo, alla scuola, il suo ultimo addio.
La sera stessa, annunciò a Ida che lui, oramai, sapeva tutto lo scibile, e smetteva la scuola. Tanto, presto avrebbe dovuto smetterla lo stesso, per fare la guerra. Finita la guerra, poi, se ne sarebbe riparlato.
5 - Una di quelle mattine Ida (Voce: Vanna Locatelli)
Una di quelle mattine Ida, con due grosse sporte al braccio, tornava dalla spesa tenendo per mano Useppe. Faceva un tempo sereno e caldissimo. Secondo un'abitudine presa in quell'estate per i suoi giri dentro al quartiere, Ida era uscita, come una popolana, col suo vestito di casa di cretonne stampato a colori, senza cappello, le gambe nude per risparmiare le calze, e ai piedi delle scarpe di pezza con alta suola di sughero.
Useppe non portava altro addosso che una camiciolina quadrettata stinta, dei calzoncini rimediati di cotone turchino, e due sandaletti di misura eccessiva che ai suoi passi sbattevano sul selciato con un ciabattino.
Uscivano dal viale alberato non lontano dallo Scalo Merci, dirigendosi in via dei Volsci, quando, non preavvisato da nessun allarme, si udì avanzare nel cielo un clamore d'orchestra metallico e ronzante. Useppe levò gli occhi in alto, e disse: “Lioplani”. E in quel momento l'aria fischiò, mentre già in un tuono enorme tutti i muri precipitavano alle loro spalle e il terreno saltava d'intorno a loro, sminuzzato in una mitraglia di frammenti.
“Useppe! Useppeee!” urlò Ida, sbattuta in un ciclone nero e polveroso che impediva la vista: “Má , sto qui”, le rispose, all'altezza del suo braccio, la vocina di lui, quasi rassicurante. Essa lo prese in collo, e in un attimo le ribalenarono nel cervello gli insegnamenti dell'Unpa, l’Unione Nazionale Protezione Antiaerea, e del Capofabbricato: che, in caso di bombe, conviene stendersi al suolo. Ma invece il suo corpo si mise a correre senza direzione.
Aveva lasciato cadere una delle sue sporte, mentre l'altra, dimenticata, le pendeva ancora al braccio, sotto al culetto fiducioso di Useppe. Intanto, era incominciato il suono delle sirene.
Essa, nella sua corsa, sentì che scivolava verso il basso, come avesse i pattini, su un terreno rimosso che pareva arato, e che fumava. Verso il fondo, essa cadde a sedere, con Useppe stretto fra le braccia.
Nella caduta, dalla sporta le si era riversato il suo carico di ortaggi, fra i quali, sparsi ai suoi piedi, splendevano i colori dei peperoni, verde, arancione e rosso vivo.
Si trovavano in fondo a una specie di angusta trincea, protetta nell'alto, come da un tetto, da un grosso tronco d'albero disteso. Si poteva udire in prossimità, sopra di loro, la sua chioma caduta agitare il fogliame in un gran vento.
Tutto all'intorno, durava un fragore fischiante e rovinoso, nel quale, fra scrosci, scoppiettii vivaci e strani tintinnii, si sperdevano deboli e già da una distanza assurda voci umane e nitriti di cavalli.
6 - Useppe dormiva ancora (Voce: Vanna Locatelli)
Useppe dormiva ancora, con la testolina penzolante dalla sua spalla, mentre, un poco più tardi, essa percorreva a piedi la via Tiburtina. Da una parte, la via correva lungo la muraglia del cimitero e, dall'altra, lungo casamenti in parte distrutti dalle bombe. Forse anche per effetto del digiuno, Ida era presa da sonno, il senso dell'identità le andava sfuggendo. Si domandava incerta se la casa di via dei Volsci a San Lorenzo, dove aveva abitato per più di vent'anni, non fosse invece la casa di Cosenza, demolita dal terremoto medesimo che aveva distrutto, insieme, Messina e Reggio. [...]
Per suggerimento dello stesso cantiniere. s’era accodata a un gruppo di sinistrati e di fuggiaschi, avviati in direzione di Pietralata, verso un certo edificio dove s’era allestito, così dicevano, un dormitorio per i senza tetto. Quasi tutti quelli che percorrevano e la seguivano trasportavano fagotti, o valige, o masserizie;
invece lei, fuori di Useppe, non aveva assolutamente più nulla da portare.
7 - Dall'interno del convoglio (Voce: Vanna Locatelli)
Dall'interno del convoglio, qualche voce ignota la raggiunse per gridarle d'andar via: se no "quelli", tornando tra poco, avrebbero preso lei: «Nooo! No, che nun me ne vado!» essa in risposta inveì minacciosa e inferocita, picchiando i pugni contro i carri, «qua c'è la mia famiglia! chiamateli! Di Segni! Famiglia Di Segni!»... «Settimioo!!» eruppe d'un tratto, accorrendo protesa verso uno dei vagoni e attaccandosi alla spranga del portello, nel tentativo impossibile di sforzarlo. Dietro la graticciòla in alto, era comparsa una piccola testa di vecchio. Si vedevano i suoi occhiali tralucere tra il buio retrostante, sul suo naso macilento, e le sue mani minute aggrappate ai ferri. «Settimio!! E gli altri?! sono qua con te?» «Vattene, Celeste», le disse il marito, «ti dico: vattene subito, che quelli stanno per tornare...» Ida riconobbe la sua voce lenta e sentenziosa. Era la stessa che, altre volte, nel suo bugigattolo pieno di roba vecchia, le aveva detto, per esempio, con savio e ponderato criterio: «Questo, signora, non vale nemmeno il prezzo della riparazione...» oppure: «Di tutto questo, in blocco, posso darle sei lire...» ma oggi suonava atona, estranea, come da un atroce paradiso di là da ogni recapito…”,